venerdì 9 dicembre 2016

L'uomo che verrà



Partiamo dal 4 dicembre. Quel giorno la grande maggioranza degli italiani si è pronunciata dicendo in modo chiaro che non intende rinunciare né ai principi né agli strumenti che la Costituzione della Repubblica Italiana si dette per mantenere attive e vitali le garanzie democratiche. E’ stato bello riscoprire che tanta gente, con opinioni politiche anche molto diverse, si ritrova ancora unita e concorde almeno su questa base fondamentale per la convivenza civile, come è giusto e normale che sia. Giusto e normale ma non scontato, perché le sollecitazioni in senso contrario sono state molte, assillanti e artatamente allettanti.
Eppure, con un’affluenza alle urne altissima per un referendum, ben il 60 percento degli italiani ha detto no alle scorciatoie decisioniste, all’accentramento dei poteri, agli uomini soli al comando. Non era la prima volta, perché anche nel 2006 ci fu un referendum analogo, per la “riforma” costituzionale imposta al parlamento dal governo Berlusconi. Anche in quell’occasione il martellamento mediatico non bastò al governo a piegare la volontà della maggioranza degli italiani, che nel 61 percento dei casi non si lasciò abbindolare e respinse al mittente il papocchio.  Vale la pena ricordare anche ai corti di memoria, che nel 2006 furono i partiti del centrosinistra a suonare la carica contro lo stravolgimento unilaterale della Carta imposto alle Camere da Berlusconi, ma fu solo il buon senso dei cittadini comuni a determinare il risultato. Allora come oggi.
Inutile dire che siamo sollevati e orgogliosi per questo risultato per il quale ci siamo battuti in condizioni spaventosamente impari, con nessun mezzo a disposizione a parte la nostra ostinata e forse ingenua volontà di lasciare a quelli che verranno dopo di noi un Paese non peggiore di quello che abbiamo trovato. Auguriamo a coloro che non sono ancora nati di trovare, magari tra vent’anni, un’Italia un po’ più onesta e libera dagli opportunismi faziosi. In cui il bene comune venga prima, incontestabilmente prima, degli interessi di parte. Auguriamo loro di trovare un Paese in cui sia ormai scontato pensare che le fondamentali regole di convivenza civile abbiano senso solo se concordate assieme agli altri. Dove la ricerca del dialogo non sia considerata una insopportabile perdita di tempo, ma un tratto fondamentale della democrazia. Dove la televisione di stato, finanziata dalle tasse di tutti, sia servizio pubblico e non al servizio del governo. 
Soprattutto gli auguriamo di essere capaci di pensare con la propria testa e di possedere la volontà e il coraggio delle proprie idee. 

Progetto per Volterra, Comitato cittadino per il NO

venerdì 2 dicembre 2016

La polpetta avvelenata

Il gentiluomo che qualche tempo fa lanciò bocconcini avvelenati ai cani e ai gatti dei Pratini e di altre aree verdi della città sa benissimo come funziona. Un bell’impasto con un po’ di carne fresca e appetitosa è fondamentale per avvolgere la stricnina e occultare la tossina dentro un involucro prelibato. Nessuna creatura cadrebbe nel tranello, se non fosse attratta da un’esca invitante messa lì a bella posta per far venire l’acquolina in bocca. L’impianto del referendum costituzionale somiglia ad una polpetta avvelenata, dove la pietanza stuzzicante è costituita dall’eliminazione di una parte dei senatori, l’abrogazione del CNEL e i presunti tagli di spesa, mentre il vero principio attivo che sta al cuore della revisione renziana è lo sbilanciamento dei poteri dal parlamento al governo e l’allontanamento degli strumenti decisionali dalla base dei cittadini verso il vertice della piramide, dove dimora il presidente del consiglio.Ovviamente nessuno avrebbe votato un referendum che si fosse limitato ad eliminare l’elezione diretta dei senatori da parte dei cittadini trasformandola in una nomina interna ai partiti, a trasferire una bella quota di potere dalle camere agli uffici del governo (organo molto meno rappresentativo), ad innalzare le soglie per la presentazione delle leggi di iniziativa popolare e per richiedere i referendum, senza l’esca di un paio di ingredienti falsamente anticasta, che permettesse a tutta la fanfara del governo di suonare fino alla noia i ritornelli renziani. Certo, è molto ingenuo da parte dell’elettore aspettarsi una riforma anticasta se a promuoverla è il fior fiore della casta stessa, ma se mettiamo in conto il martellamento propagandistico radiotelevisivo e di certi organi di stampa, il giochetto potrebbe anche riuscire. Resta il fatto incontrovertibile che tutto il complesso delle modifiche alla Carta coordinato con la legge elettorale allontana decisamente il Paese dal modello di una democrazia partecipata, spostando il timone delle decisioni nelle mani di una minoranza sempre più oligarchica, mille miglia lontana dai cittadini comuni. Il nuovo assetto dello Stato diviene ancor più tetro se guardato in prospettiva futura quando, a causa del combinato della Boschi-Renzi con la legge elettorale (Italicum), il nuovo parlamento somiglierà sempre di più al partito di maggioranza, tanto che ulteriori future riforme costituzionali troveranno molto più facilmente i due terzi dei suffragi, evitando perfino il passaggio referendario. La storia insegna che una volta imboccato il cammino dell’accentramento del potere, è aperta la strada per più decise svolte autoritarie, per esempio presidenzialistiche, mentre ogni tentativo di ritorno ad una democrazia bilanciata verrà reso assai arduo. Come è facile prevedere che risulterà sempre più difficile la nascita e la sopravvivenza di partiti nati dal basso realmente alternativi agli attuali, quando gran parte degli strumenti legislativi e decisionali sarà nelle mani del partito che occuperà l’esecutivo. Per questi motivi ritengo che sia importante votare No al referendum del 4 dicembre. Contrariamente a quanto recita lo slogan della parte opposta, non basta un segno su una scheda per far progredire questo Paese, ma è vero che il nostro segno sul simbolo sbagliato può certamente peggiorarlo.  

Fabio Bernardini